"Mi volevano tutti bene, anche l'ingegner Piero. Il primo anno che ho lavorato alla festa di Santa Barbara davanti a tutti mi ha abbracciato e ha detto: “Spero che ci siano i figli dei tuoi figli a lavorare per noi”."
Mi chiamo Renato Magagnotti. Sono nato nel 1968 a Riva del Garda e gli amici mi chiamano “Maga”.
Sono stato assunto nel novembre 1983 come aiutante cuoco alla mensa di Marìgole, però non servivo in cucina e allora davo una mano per tutti i lavori da fare fuori dalla miniera, perchè ero troppo giovane per entrarci avevo solo 15 anni.
Quando riempivano le gallerie con la ripiena cementata con Pietro Scaglia e un suo operaio. Questo lavoro si faceva ogni 15 giorni per 10 giorni di seguito. Caricavo i sacchi di cemento da 50 kg in una vasca, sono arrivato a caricarne 500 al giorno, poi li spaccavo e arrivava la betoniera che prendeva il cemento e la sabbia. Poi il cemento veniva portato su un nastro 20-30 metri lungo la galleria dove poi cadeva in un tubo. Io dovevo controllare che questo tubo non si bloccasse altrimenti dovevo fermare il nastro. Oppure aiutavo a scaricare il legname. Si faceva tutto a mano perchè lì non c'era la gru. Poi gestivo la distribuzione del legname nelle diverse gallerie: si tagliavano i tronchi e poi si portavano fino all'imboccatura delle gallerie. Mi ricordo che insieme al perito Emilio Bartoli andavamo a rilevare delle aree dove era stato scaricato nel passato del materiale di scarto.
Negli anni che ero su io a Marigole eravamo dai quindici ai venti operai e lavoro ce n'era. Poi quando sono ritornato a trovare i compagni nel 1995 o 1996 avevo sentito che iniziavano a parlare di calo del lavoro le teleferiche non andavano più.
Quel lavoro per me è stato una scuola di vita. Mi trovavo bene con tutti: poi ci sono persone più chiuse altre più espansive, ma anche i minatori più burberi si sono dimostrati carini con me, magari dietro l'angolo quando nessun altro li vedeva. Per me erano tutti personaggi grandi, grossi e forti, ma io sono un tipo orgoglioso e ho sempre voluto dimostrare che ce la facevo senza cedere e per me era una sfida dimostrare a quegli uomini che ero capace; lo facevo anche per mia mamma non sarei mai tornato a dirle “non ce la faccio più a stare su”. Abitavo insieme ai minatori tutta la settimana; c'erano certi mercoledì che scendevo con il perito Emilio Bartoli e tornavamo insieme su il giovedì mattina. Poi il venerdì si lavorava dalle 4:00 alle 12:00 in modo da poter tornare a casa il pomeriggio.
Mi ricordo che un giorno erano venuti i miei amici a trovarmi su a Marìgole, con le moto. Hanno guardato dentro le cucine quando arrivavano tutti i minatori ed erano tutti sorpresi. Mi dicevano “cosa fai qui Renato? Sei impazzito? Come fai a stare in questo posto senza niente?” Comunque sono riuscito a mantenere le amicizie durante la fine settimana.
Quando mi hanno detto “vai via dalla miniera e lavori allo stabilimento” ho pianto per due giorni, perchè volevo stare lì, mi viene ancora adesso il magone. Lassù tutti mi facevano un po' da papà, a me che sono rimasto presto orfano. Anche giù mi sono trovato bene, ma non era come su a Marìgole.
Una volta allo stabilimento ho lavorato dove c'era la cernita della barite, andavo con i muletti facevo le pulizie, insomma un po' di tutto dove servivo io c'ero. Sono stato anche allo stabilimento ex-Cima alla lavanderia dove si lavorava il materiale che arrivava da Primaluna e da Monte Elto. Si faceva un'altra lavorazione rispetto alla barite che si estraeva a Darzo: veniva insaccato in sacchi più piccoli e si commercializzava più grezza. Poi dopo qualche anno sono ritornato a lavorare su a Marìgole e avevo anche il compito di controllare la strada d'inverno, salare per evitare il ghiaccio e pulire le canaline di scolo. Quando arrivava la dinamite ero addetto a metterla nella casetta che conteneva la mine.
I turni di lavoro erano dalle 4:00 alle 12:00 e dalle 12:00 alle 20:00 e poi dalle 20:00. In quegli anni ero già un po' più grande e allora mi gestivo da solo e mi davano delle mansioni più specifiche come, ad esempio, far andare gli impianti, oppure andare con le ruspe. Però facevo di tutto, sono stato anche qualche settimana alla teleferica perchè il teleferista era malato, oppure andavo ad aiutare in officina meccanica. Io cercavo di imparare sempre qualcosa in ogni lavoro perchè per me erano tutti maestri.
Mi volevano tutti bene i colleghi e anche l'ingegner Piero. Il primo anno che lavoravo lì, alla festa di Santa Barbara davanti a tutti mi ha abbracciato e ha detto: “Spero che ci siano i figli dei tuoi figli a lavorare per noi”.
Sono rimasto a lavorare alla Mineraria Baritina fino a maggio del 1990, quando mi sono licenziato perchè avevo trovato un altro lavoro che sto svolgendo ancora. Quella volta l'ingegner Piero mi aveva detto: “Ragazzo perchè te ne vai? Resta qua.” Effettivamente io lì stavo come in famiglia, ci ero cresciuto in quella ditta, però volevo provare a cambiare lavoro, e comunque tutti, dal proprietario al signor Delaidini, il Tanghetti mi avevano detto che per me alla Baritina la porta era sempre aperta. Ho provato a cambiare e mi è andata bene: Ottavio Zanetti che era stato mio collega alla Baritina ha fatto il mio nome alla ditta dove lavoro adesso, perchè mi aveva visto come lavoravo e che ero affidabile.
Comunque il lavoro su in miniera era davvero duro: quando vedi che un tuo compagno va in pensione e poi non arriva neanche a prendere il primo assegno, ti rendi conto della verità. In confronto giù allo stabilimento stavano benissimo. Io ero sempre fuori, ma chi andava dentro entrava con il buio e usciva con il buio; quando sparavano le mine tremava tutta la montagna.
Alla fine ho deciso di costruirmi la casa a Darzo, perchè è un bel paese e mi sento grato per quello che ho imparato e vissuto qui.
Mia mamma si chiama Pasi Maddalena ed è conosciuta in paese come la "Lina dal Moro". É nata nel 1933 e ha lavorato per la ditta Sigma come cernitrice dal 1962 al 1968.
Intervista effettuata il a Storo il 23 ottobre 2014.
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