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Olimpia Beltrami

Olimpia Beltrami

"Per lo meno tra noi ragazze c’era solidarietà e ci scambiavamo i turni, ma era brutto perché appena tornavi a casa era già ora di ritornare. Alla mattina con chi faceva il turno delle quattro di mattina ci si aspettava lungo la strada per andare insieme a piedi, perché faceva paura non c’era l’illuminazione."Mi chiamo Olimpia Beltrami. Sono nata nel 1937 a Darzo e qui vivo con mio marito Luigi Frigerio.
Ho lavorato per la Maffei dal 1954 al 1961 come cernitrice. Il lavoro sono andata io direttamente a chiederlo al direttore Spreafico e forse qualcuna si era sposata oppure mia sorella Marta Beltrami mi aveva raccomandato. Durante l’inverno ci licenziavano e avevamo paura che, arrivata la primavera, non ci riprendessero più. Erano anni duri. Il primo stipendio che ho ricevuto è stato di 17.000 lire, e ho pensato: “Ma guarda questi soldi per lavorare al freddo”. Ci venivano le gambe rosse come ciliegie, come “sarése” dicevamo, perché per scaldarci avevamo solo dei bidoni con la legna che prendavamo di nascosto e che poi il capo veniva a spegnerceli. Anche a scaldarci si perdeva tempo secondo loro.
Quando un anno è arrivato un sindacalista che ci ha costretto a fare sciopero per le paghe, il padrone, "il Barba" Carlo Maffei ci ha chiamate e ci ha fatto la paternale. Adesso anche i capi sono migliorati forse anche perché gli operai si sono svegliati. Il capo era tremendo, Giuseppe Armani era un segugio, va bene stare dalla parte del padrone, ma lui esagerava. Per lo meno tra noi ragazze c’era solidarietà e ci scambiavamo i turni, ma era brutto perché appena tornavi a casa era già ora di ritornare. Comunque appena non lavoravi, vedevi di poterci tornare altrimenti c’era solo la valigia. Eravamo giù anche in 50 e venivano anche da Lodrone e da Storo.
Alla mattina con quelle del turno delle 4.00 di mattina ci si aspettava lungo la strada per andare insieme a piedi, perché faceva paura e non c’era l’illuminazione. I turni erano di otto ore divise in quattro, così però ti spezzavi la giornata e non riuscivi a fare niente. Ad esempio dalle 4.00 alle 8.00 e poi dalle 12.00 alle 16.00. Poi hanno cambiato i turni perché anche i capi hanno capito che era meglio fare otto ore di seguito: dalle 4.00 alle 12.00 o dalle 12.00 alle 20.00. Quindi si stava lì e per mangiare bisognava arrangiarsi senza però farsi vedere ferme a mangiare perché ti sgridavano. Penso che alla Corna stavano meglio perché non facevano i turni, ma giornata con la pausa per andare a casa mangiare. Poi c’erano meno lavoratrici, lavoravano più al chiuso, ad esempio sotto il nastro avevano un tubo con l’acqua calda che passava a scaldare le gambe delle cernitici e poi c’erano due caloriferi. Alla Maffei non hanno mai fatto una cosa così. La famiglia Corna era più vicina ai lavoratori. Emilio Corna, lo zio dell’ingegner Piero chiamato anche lui "Barba", negli anni Quaranta veniva sempre nella stalla di mio zio dove c’erano le mucche e beveva in compagnia. Mentre i Maffei erano più riservati si sono costruiti anche una villa, mentre i Corna stavano all’Albergo Italia.

Mio papà si chiamava Olimpio Beltrami di famiglia "Tonai" era del 1897 ed è morto nel 1944 per le complicazioni a seguito di un colpo ai reni preso mentre trasportava a valle con le slitte il carbone che facevano in montagna per guadagnare qualcosa di più, oltre il lavoro che già faceva. Ha lavorato per la ditta Maffei, ma non so se in miniera o nello stabilimento e non mi ricordo il periodo.

Mia sorella più grande Clelia Beltrami ha lavorato alla Maffei grazie al suo fidanzato Tullio Donati, che poi è diventato suo marito, che lavorava come elettricista e aveva buoni rapporti con il proprietario, il dottor Italo [Maffei]. Poi quando si è sposata sono subentrata io al suo posto.

Anche mia sorella Marta Beltrami ha lavorato alla Maffei, fino a quando si è sposata.

Intervista effettuata a Darzo nel mese di ottobre del 2010.

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