"La sede della Maffei era a Milano in piazza della Repubblica e noi eravamo qui, non potevamo fare niente per fermare questo declino che non dipendeva da noi, ma da strategie più alte."
Mi chiamo Marino Cosi. Sono nato a Tione nel 1964 e vivo a Lodrone, la famiglia di mio papà era soprannominata i “Gàse”.
Ho iniziato a lavorare per la ditta Maffei nel 1989. Ho trovato lavoro tramite il perito Aronne Paoli che era molto bravo e che conoscevo. Gli avevo dato la mia disponibilità qualora ci fosse stato bisogno. Così ho fatto domanda, mi hanno chiamato a fare un colloquio e poi quando è andato in pensione uno di Storo, hanno preso me.
Nei primi due anni ho lavorato come operaio addetto un po’ a tutto sugli impianti, poi mi hanno chiesto se volevo lavorare in ufficio come impiegato; non so, forse non lavoravo bene come operaio, ho fatto l’Enaip e non avevo una particolare preparazione. Ho accettato con piacere questo cambio da operaio ad impiegato perché è migliorato tutto anche sul piano economico. Quando ero operaio prendevo un milione di lire o un milione e cento, come impiegato prendevo più di due milioni di lire al mese, anche perché avevo abbastanza responsabilità.
Ho quindi accettato: mi occupavo delle spedizioni e di altri aspetti burocratici classici di un ufficio. Seguivo con il direttore anche la produzione e quando mancava mi accordavo con i capi reparto per decidere i turni degli operai in base agli ordini dei clienti del materiale. Organizzavo, quindi, il piano di produzione settimanale o mensile. Anche se lavoravo nell’ufficio ero sempre a stretto contatto con le lavorazioni interne allo stabilimento. Mi occupavo anche del magazzino ricambi di tutto lo stabilimento.
Sono stato collega per dieci anni del ragioniere Giancarlo Girardini che era lì già da trent’anni, eravamo in ufficio insieme. Lui curava la parte amministrativa relativa alle paghe e il conteggio dell’energia elettrica e la relativa burocrazia. Poi in un altro ufficio c’era il geometra Pellegrini che si occupava degli aspetti tecnici degli impianti. All’epoca nello stabilimento lavoravano solo 25 o 30 operai che sono sempre diminuiti. C’era la mensa dove lavorava la Gemma Bertini e poi gli ultimi tempi alla fine degli anni ’90 è stata chiusa e si mangiava all’Hotel Castel Lodron.
Il lavoro mi piaceva: eravamo legati anche con la cava di Giustino e con i colleghi di Trento e c’era molto contatto e scambio con questi uffici, perché noi dipendevamo da lì. Noi non avevamo più miniere e si lavorava la materia prima di Giustino e Sondalo, oppure anche materiali esteri, quarzo, per certe lavorazioni particolari.
Siccome nel frattempo la situazione non era più molto chiara, non si sapeva quanto sarebbe durato: si vedeva che non facevano più investimenti e che il lavoro calava. Calavano gli ordini: se prima c’erano 20 camion al giorno, poi sono calati e si vedeva che mancavo i clienti. I silos non si vuotavano e bisognava cambiare continuamente produzione per starci dentro con le scorte. Si capiva che non era un calo passeggero, ma qualcosa di più grande. La sede della Maffei era a Milano in piazza della Repubblica e noi eravamo qui, non potevamo fare niente per fermare questo declino che non dipendeva da noi, ma da strategie più alte. Mi è capitato quando andando a fare dei corsi di aggiornamento a Milano di incontrare altri impiegati che la ditta aveva in Italia e cercavo di conoscere cosa stava succedendo dalle altre parti. Ma nessuno aveva le idee chiare. D’altra parte ad un certo punto la Maffei è stata comperata dalla ditta Iris che era a tutti gli effetti una concorrente e che non aveva tanto interesse a far funzionare ancora questi impianti. Si tratta quindi di dinamiche a livello dirigenziale.
Allora ho cercato un altro lavoro e mi sono licenziato nel 2001.
Intervista raccolta il 14 marzo a Lodrone.
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