"Da quando cinque anni fa è andata in pensione l'ultima donna lavoro con due senegalesi. Sono brave persone, ma l'ambiente non è più quello di una volta tra donne si chiacchierava e ti passava di più la giornata."
Sono nata a Darzo nel 1954. Ho una figlia. Lavoro dal giugno del 1978 per la ditta Mineraria Baritina come cernitrice. Sono l'ultima donna assunta nella mia mansione.
Per 33 anni ho lavorato con le braccia facendo un movimento ripetitivo per spostare la barite dal nastro trasportatore alle carriole prima e alle tramogge dopo. Normalmetne si lavorava con un braccio solo il destro o il sinistro e solo per spostare i sassi grossi si usavano due le mani. Questo mi ha portato a logorare l'articolazione di una spalla e adesso sono in malattia perché mi hanno operato.
Anche se c'è la crisi vedo che lavoriamo ancora, probabilmente è un settore che l'ha sentita meno degli altri. Quando sono entrata a lavorare alla Mineraria Baritina eravamo in sei donne e c'erano già delle macchine, che noi chiamavamo "macchinette" che separavano la barite dallo sterile in base alla grossezza utilizzando l'acqua e facevano un baccano tremendo, ma comunque il nostro lavoro era ancora fondamentale per la ditta. Stavamo in una stanza grande e fredda lungo un nastro trasportatore dove scorreva il materiale e ognuna si occupava di scegliere una parte: le prime due prendevano la "peglio" e lo scarto grosso e piccolo, poi la collega che prendeva la super, poi altre due che prendevano la seconda o la prima, dipendeva dalla qualità del materiale che passava. In questo modo non scappava neanche un sassolino. Ogni cernitrice metteva il materiale in una carriola e quando era piena batteva con un sasso sulla lamiera per chiamare l'operaio che doveva portarla via. Alla fine del nastro trasportatore c'era una carriola dove finiva il tipo di barite che in quel momento era maggiore: ad esempio se in quel momento c'era più super le cernitrici prendevano la barite di terza e la super si lasciava in fondo. Si decideva in base al materiale di volta in volta.
Nel 1985 hanno cambiato sistema. Ci hanno spostate al piano superiore dello stabilimento in uno spazio più piccolo dove c'erano tre caloriferi. Nel frattempo eravamo rimeste in tre: due operaie erano andate in pensione e non sono state sostituite e una era rimasta casa. Il lavoro è cambiato perché alla fine del nastro trasportatore invece della carriola c'era una tramoggia che portava il materiale in un frantoio per sminuzzarlo. Una volta fatto piccolo, un elevatore lo portava attraverso delle tramogge alle "macchinette" che lo separavano ancora. Quindi il nostro lavoro si è semplificato perché dovevamo separare solo la super dallo sterile e se scappava qualcosa non era più un problema come prima quando il materiale finiva nelle carriole perché tanto le macchinette avrebbero separato in un secondo momento.
Comunque il lavoro resta pesante: infatti da quando cinque anni fa sono stati assunti due colleghi senegalesi, lascio che siano loro a cernire la barite che pesa di più mentre io separo lo sterile. Adesso separiamo manualmente solo barite che viene dall'estero non sappiamo da dove.
Mio papà Gino Marini dei "Martinì" era del 1921 ed è morto nel 2005. Ha cominciato a lavorare in miniera nelle gallerie a tredici anni per la ditta Cassinelli di Storo, forse in sub appalto per la ditta Corna, ma non so bene perché non me lo sono mai fatto spiegare. Lui diceva che lavorava per "i Cassinelli". Poi una volta tornato dalla guerra ha fatto l'autotrasportatore e poi si è messo in proprio con il fratello Silvio Marini "Martinì".
Intervista effettuata nell’ottobre del 2010 a Darzo.
Copyright © minieredarzo.it · all rights reserved. In caso di utilizzo di questi testi citare la fonte e informare i responsabili - info@minieredarzo.it