"Nei 18 anni che ho fatto in miniera, prima per la Cima e poi per la Baritina, in tutto avrò lavorato fuori dalla galleria 10 giorni, altrimenti sempre dentro, per 10 ore al giorno."
Mi chiamo Enrico Lombardi e sono nato nel 1940. Ho cominciato a lavorare nel 1960 nella ditta Sigma del dottor Cima.
Prima di lavorare lì, lavoravo come boscaiolo: mi ricordo che poco prima di essere assunto avevo lavorato vicino a Riva per cinque mesi nel bosco e avevo preso 50.000 lire. Lavoro sicuro non ce n'era, Dal 1956 al 1960 avevo lavorato per la ditta Chini che costruiva la galleria per prendere l'acqua in Val Dorizzo sopra Bagolino e portarla in centrale a Ponte Caffaro; mi ricordo che avevo preso 90.000 lire al mese che mia mamma non riusciva a contare da quanti erano. Certo dovevo lavorare 12 ore di seguito senza festa: iniziavo alle 6.00 la mattina e uscivo alle 18.00 per riprendere alle 6.00, si lavorava qualcosa come 360 ore al mese. Loro mi avrebbero tenuto, ma avrei dovuto andare a lavorare lontano e io non potevo spostarmi perché avevo la mamma anziana il papà invalido ed ero l'unico figlio, perché mia sorella era sposata in Val Trompia. Non potevo lasciarli soli a lungo: mi capitava che mentre lavoravo per la Sigma, dopo dieci ore di galleria, la sera partivo a piedi per venire in paese a vedere come stavano e ripartivo alle quattro di mattina a piedi. Era una disperazione, non avevo molta scelta, e l'unico lavoro sicuro qui vicino erano le ditte minerarie. Allora un giorno ho incontrato un impiegato della Cima che abitava a Lodrone, un certo Luzzani, che mi ha detto che alla ditta cercavano operai. Allora mio cugino, Lombardi Daniele, che adesso è morto, dopo qualche giorno mi ha accompagnato a chiedere lavoro alla Sigma. Così il lunedì dopo ho cominciato. La mia mansione era minatore.
Partivo da Riccomassimo al lunedì di mattina presto a piedi attraverso una sentiero nel bosco e arrivavo fuori a Marigole e da lì si scendevo a Pice. Andavo fuori insieme a mio cugino Lombardi Daniele e a Lombardi Ernesto di Bagolino. Ci volevano circa due ore. Poi il sabato di ritorno. Questo è durato per i primi due o tre anni. Poi la ditta ha comperato la Campagnola che ci aspettava alle 5.30 la mattina di lunedì a Lodrone e ci portava fino a Faserno, perché la strada fino a Pice non c'era. Da lì proseguivamo a piedi per 20 minuti per arrivare in cantiere. Inizialmente la Campagnola era del Tòne “Bòcia” di Storo poi la ditta ne ha comperata una. Così fino al 1970 quando poi ho comperato la macchina. Invece durante la settimana, che dormivamo a Pice, per salire alla galleria, si partiva alle 6,30 a piedi, poi si caricava la lampada e si entrava. Ho lavorato in tutte le gallerie della ditta: a Paèr, nella Dora, e nella Felice. Siccome normalmente sparavamo alla sera, la mattina si saliva per portar fuori il materiale. Il dottor Cima era molto preciso con le volate: voleva che si sparassero solo alla sera alle 19.00 oppure a mezzogiorno, ma molto raramente. Per noi minatori era meglio sparare alla sera perché così durante al notte la polvere si depositava e la mattina si lavorava senza polvere. Poi il materiale si caricava a mano sui vagoni e si portava fuori. Alla Cima avevamo gallerie piccole larghe un metro, un metro e mezzo e alte due per cui non ci stavano le pale. L'imbocco era grande, ma le diramazioni erano piccole. Lavoravamo sempre in due, ma la coppia si cambiava sempre: mi ricordo di Zalagogna Gino di Predazzo, che era dieci anni più vecchio di me, di Stagnoli Federico di Anfo. Si lavorava dalle 7.00 a mezzogiorno e dalle 14.00 alle 19.00 non facevamo mai turni di notte, forse una volta all'anno se c'era fretta. I lavori da fare erano diversi. Si armava la galleria con i legni, oppure si “smarinava”, si perforava e si favcevano esplodere i colpi.
Per mangiare andavamo giù a Pice dove avevamo la mensa con il cuoco. Quando ho cominciato c'era un cuoco di Predazzo, di cui non ricordo il nome, poi è arrivato Festa Antonio. I primi tempi di lavoro è stata dura abituarsi, ma poi lavoravo sempre dentro il galleria. Nei 18 anni che ho fatto in miniera prima per la Cima e poi per la Baritina, in tutto avrò lavorato fuori dalla galleria 10 giorni, altrimenti sempre dentro per 10 ore al giorno senza pause, a parte il pranzo. Poteva capitare che se la mattina si “smarinava" velocemente e non c'erano problemi, si metteva giù il binario e si preparava tutto, alle 14.00 si andava a forare e a preparare la volata, prima di far esplodere le mine alla sera, saltava magari fuori un quarto d'ora per tirare il fiato, sempre dentro in gallerie, no non si poteva mica uscire fuori. All'inizio si lavorava anche il sabato fino alle 17.30.
Nel 1976 quando la Sigma è stata acquistata dalla Baritina, sono stato a casa una settimana e poi ho cominciato a lavorare con la nuova proprietà. Chi invece è rimasto più tempo in cassa integrazione guadagnava più di me che lavoravo dieci ore in galleria con la Corna. Qui ho continuato a fare il minatore, ma l'organizzazione del lavoro era diversa. Si facevano sempre dieci ore, ma solo fino al venerdì sera, però il cantiere era vicino al dormitorio, pochi minuti a piedi. Poi il lavoro era più meccanizzato: c'era più barite e anche più spazio per lavorare perché le gallerie erano più grandi. Con i colleghi stavo bene anche perché li conoscevo praticamente già tutti: Lombardi Aldo, Stefano Zanetti, il papà di Fabiano, gente da Lodrone, Baitoni, Bondone che purtroppo adesso sono quasi tutti morti. In ogni posto dove sono andato a lavorare mi hanno sempre voluto tutti bene. Qualcosa che non va bene c'è sempre o la luna storta, ma roba da niente. Anche con i superiori è sempre andato tutto bene, sia con il perito Casotti Enrico della Sigma che con il perito Bartoli Emilio della Baritina che mi ricordo quando è arrivato, era giovane: aveva lo studio, ma non era pratico della miniera. Con i colleghi l'atmosfera era buona, la sera dopo cena facevamo una briscolata, due parole e poi alle 21.00 si andava a dormire, perché eravamo stanchi. La compagnia era bella: c'era Stagnoli Vito che raccontava barzellette e faceva scherzi per tutti.
In diciotto anni di lavoro ho fatto solo otto giorni di infortunio: un sasso mi ha tolto l'elmetto e un secondo sasso mi è caduto sulla testa. Un'altra volta quando ero alla Sigma, uno da Prezzo o di Creto, Maestri Dario, mi ha salvato la vita. Stavamo scavando un fornello a piombo ed eravamo dentro per circa settanta metri. Avevamo preparato la volata e mancavano dieci minuti alle 19.00, l'ora stabilita per far saltare le mine a allora ci siamo fermati ad aspettare. Mi ero seduto su un sasso e quando, una volta dato fuoco alle micce, è stato il momento di alzarmi per allontanarmi, mi sono venuti i crampi alle gambe e non riuscivo più a muovermi. Allora il mio compagno mi ha preso di peso sotto un braccio e mi ha portato giù per le scale del fornello, venti scale ripide di corsa e quando siamo arrivati in fondo sono partite le esplosioni. Mi viene ancora la pelle d'oca a pensarci: quella volta ho visto la morte in faccia. Per fortuna quella volta avevamo fatto le micce lunghe tre metri, altrimenti non sarei ancora vivo.
La paga era misera: mi ricordo che il primo mese ho lavorato per 200 ore e ho preso 42.000 lire. Rispetto al lavoro con la ditta Chini era più faticoso, perché nelle gallerie della miniera si lavorava in due senza macchinari e non c'erano tempi morti. Non c'erano macchinari, la “pica” e la “pala” e la perforatrice, e basta. Nei grandi cantieri, invece, si sta dentro anche in venti operai, ci sono i macchinari e il lavoro è meno pesante.
Nel 1978 mi sono licenziato dalla ditta Mineraria Baritina perché non mi sentivo più bene, sentivo il respiro pesante. L'ingegnere non mi voleva lasciare andare: mi ha detto “perché non me l'hai detto prima, ti mettevo a lavorare allo stabilimento”, ma non mi piaceva lavorare allo stabilimento. Ho preferito licenziarmi anche perché avevo due bambine che non vedevo mai, non le conoscevo neanche: tornavo il venerdì con il buio e ripartivo il lunedì mattina col buio. Non stavo mai con la famiglia. Poi anche mia moglie preferiva che trovassi un lavoro che mi permettesse di stare più a casa. Allora sono andato a lavorare per la ditta Acta prima a Ponte Caffaro, poi a Storo che produceva filo di rame per le saldature. La paga era più o meno uguale a quella della Mineraria Baritina, però facevo i turni di otto ore, andavo con la macchina in un quarto d'ora e poi ero a casa tutte le sere. Ho lavorato lì fino al 1990 quando sono andato in pensione.
Intervista raccolta a Riccomassimo il 15 maggio 2013.
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