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Domenico Simonetti

Domenico Simonetti

"Mi piace ricordare di quegli anni il fatto che eravamo quasi una famiglia: al cambio del turno eravamo tre o quattro e parlavamo del lavoro con piacere, perché durante i turni nel reparto stavamo da soli tutto il tempo. In fondo sono stato lì solo cinque anni che sono volati."

Mi chiamo Domenico Simonetti, sono nato a Domicella in provincia di Avellino nel 1970.

Sono arrivato qui perché lavoravo come cuoco sul Lago di Garda e lì ho conosciuto la mia futura moglie che è originaria di Riccomassimo, una frazione di Storo. Una volta sposato con mia moglie abbiamo deciso di non fare più le stagioni sul lago e ho cercato un posto fisso in zona.
Allora nel 2004 ho fatto domanda alla ditta Maffei e dopo ho lavorato per cinque anni fino a quando hanno chiuso. Lavoravo nello stabilimento come mugnaio. Il mio lavoro consisteva nel controllare i mulini che macinavano, i separatori che separavano le polveri in base alla granulometria. Sul prodotto ottenuto si facevano ogni ora delle verifiche in un laboratorio per vedere se rispondeva ai requisiti, e si stilava un rapportino che si consegnava quando si finiva il turno di lavoro. I controlli durante la produzione verificavano continuamente la qualità del prodotto perché, se ad esempio, si cominciava produrre una certa qualità e dopo qualche ora in base alle schede ci si accorgeva che i parametri non erano rispettati, si produceva un altro prodotto che andava in un altro silos e così via. Lo stoccaggio avveniva tramite delle canalette che funzionavano con un sistema ad aria, per cui non c’era nessun tipo di povere. Poi ultimamente era stato installato un impianto Plc, un sistema computerizzato che gestiva i macchinari e segnalava qualsiasi problematica in tempo reale. Inoltre, controllavo i silos che se si riempivano, bisognava cambiare prodotto. Infatti, alla fine di ogni produzione il materiale stava in giacenza nei silos in attesa che i camion lo portassero via, quindi se si riempivano i silos e c’era troppa giacenza bisognava cambiare produzione. Un altro lavoro era anche quello di gestire correttamente le giacenze dei diversi prodotti nello stabilimento. I prodotti erano derivati dal quarzo e venivano divisi in base alla purezza e alla qualità. Ogni qualità veniva stoccata in un silos diverso e andava a ditte diverse.
Il lavoro era abbastanza tranquillo e non particolarmente faticoso, molto fattibile diciamo. All’inizio non era la mia passione, ma avendo una famiglia dovevo accettare di stare più fermo e non andare sempre in giro. Comunque, la meccanica mi è sempre piaciuta e, quindi, a poco a poco, anche grazie ai colleghi che mi hanno insegnato come fare, il lavoro cominciava ad appassionarmi. Eravamo in dodici o tredici tra operai e amministrativi e il clima tra noi era molto buono. 
Siccome vengo dalla gavetta per me era un lavoro leggero: gli orari e il modo di lavorare era meno faticoso rispetto a quando facevo le stagioni dove correvi avanti e indietro dalla mattina alla sera. Dal punto di vista economico ero soddisfatto: era una paga da operaio non si poteva pretendere facendo le otto ore, certo rispetto al lavoro di cuoco guadagnavo meno, però la qualità della vita era migliore.
Mi piace ricordare di quegli anni il fatto che eravamo quasi una famiglia: al cambio del turno eravamo tre o quattro e parlavamo del lavoro con piacere, perché durante i turni nel reparto stavamo da soli tutto il tempo. In fondo sono stato lì solo cinque anni che sono volati. Di brutto mi ricordo la fase della chiusura che è stata movimentata e fino all’ultimo giorno ci hanno tenuto al buio di tutto. C’è stato qualche sotterfugio e cose poco piacevoli. Mi ricordo un direttore che quando la ditta dalla Iris è passata alla Tecno Minerali è venuto a fare il gradasso e dire che l’azienda sarebbe andata avanti e che se c’erano delle problematiche lui era aperto al confronto. Poi, quando quindici giorni prima della fine, ci hanno convocato a Trento alla Confindustria, quel dirigente ci ha detto della chiusura e faceva la faccia triste dicendo che anche lui perdeva il lavoro. Allora io gli ho rinfacciato che poco tempo prima invece di venire a fare il gradasso poteva passare da noi e dirci la verità. 
Dopo sono stato in mobilità per otto mesi, ma non ho trovato niente nelle ditte e fabbriche della zona, perché avrei voluto avere un lavoro di otto ore. E allora visto che non c’erano prospettive ci siamo guardati in faccia con mia moglie e nel 2010 abbiamo deciso di aprire un locale di pizza al taglio e gastronomia. Adesso sono contentissimo. Sono stato fortunato perchè avevo questa professionalità da sfruttare. E se non c’era questo tornavo a fare le stagioni.

Intervista effettuata a Lodrone nel mese di aprile del 2011.

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