"Il mio primo stipendio nel 1957 è stato di 18.000 lire. Per venire a lavorare ho comperato una bicicletta che costava 25.000 lire: non bastava lo stipendio di un mese per comperarsi una bicicletta."
Mi chiamo Alma Sella e sono nata a Lodrone. Il soprannome della mia famiglia è “i Sèle”. Avevo 15 anni quando ho iniziato a fare la cernitrice per la ditta Maffei di Darzo.
Fin da piccola sono sempre stata legata alla ditta Maffei perché mio papa, Camillo Sella, lavorava come minatore in Val Cornèra. Quindi sono andata al mare alle colonie estive per i figli dei dipendenti, a Lignano Sabbiadoro il primo anno e poi due anni a Calambrone, vicino a Pisa. Io ho trovato lavoro grazie a mio papà perché chi aveva i genitori che lavoravano dentro era agevolato. So, comunque, che mia mamma era andata dal Direttore a chiedere personalmente un posto per me, lo facevano tutti magari portando un pezzo di burro, si faceva così. Certo anche lui aveva la sua personalità. Mi ricordo che una volta parlando ho detto “'l padrù”, riferendomi al dottor Italo, e lui mi ha detto: “i padrù i gà ià a pèna i cà”.
Noi cernitrici si lavorava fuori al freddo perché il nastro era bagnato che la barite veniva lavata. Il nostro compito era separare i sassi di barite di buona qualità dal resto: c'era la bella, poi la seconda scelta e poi il falso che aveva lo scarto. Per verificare se sceglievamo bene, prima di macinare la barite cuocevano i sassi e se restavano dei buchi voleva dire che la barite non era buona; allora veniva il capo a sgridarci perché non doveva esserci del falso nella carriola della barite bella.
Devo dire che per me è stata una bella esperienza: il lavoro non era duro mi pesava solo il freddo perché si lavorava all'aperto. Solo dopo qualche anno hanno deciso di mettere un po' di cèlofan intorno per riparare dal freddo. Allora non esistevano vestiti particolari per lavorare: un paio di pantaloni e sopra qualche giacca un po' così. Qualcuna aveva i guanti in gomma, ma io non li ho mai comperati. Avevamo un grembiule in tela cerata perché dal nastro cadeva sempre giù un po' di acqua. Lavoravamo in quattro o cinque intorno al nastro e ognuna doveva prendere un tipo di barite diversa: una quella bianca, una quella rossa e così via. Facevamo i turni: dalle 5.00 alle 12.00 o alle 13.00 non mi ricordo, oppure il pomeriggio da mezzogiorno alle 20.00. Ci si scambiava una settimana per turno. Si lavorava anche di sabato all'inizio ma poi è subentrata una legge che non si lavorava di sabato. D'inverno non si lavora nei mesi più freddi, ci licenziavano e ci riassumevano in primavera.
Il mio primo stipendio nel 1957 è stato di 18.000 lire. Per venire a lavorare ho comperato una bicicletta che costava 25.000 lire: non bastava lo stipendio di un mese per comperarsi una bicicletta. Era indispensabile averne una soprattutto per tornare a casa a mangiare a mezzogiorno quando avevo molta fame.
D'inverno, però, si andava anche a piedi perché c'era la neve e per me sarebbe stata una cosa stupenda avere degli stivali in gomma. Invece avevo solo delle scarpette che non tenevano l'acqua e arrivavi dentro che avevi già i piedi bagnati.
Comunque lo rifarei: a fine mese avevi il tuo stipendio e poi avevamo tutti i diritti, le ferie e le feste infra settimanali pagate. Lo stipendio lo davo quasi tutto in casa, e si tratteneva quel po' che serviva per comperarsi qualcosa, si usava così a quei tempi. Poi aspettavamo tutto l'anno il giorno della festa di Santa Barbara quando si andava a mangiare al ristorante, perché in quegli anni non c'era molto. Poi si ballava e ci si divertiva un sacco.
Ho lavorato fino al 1964 quando mi sono sposata, ma nel frattempo la barite alla cava in Val Cornèra era terminata, quindi tutte le donne sono rimaste a casa a partire dal maggio del 1964. Solo una è rimasta per fare le pulizie.
Era una risorsa la ditta Maffei: venivano a lavorare anche da altri comuni ad esempio Innocente Zanardiche era il capo della miniera veniva da Anfo. Io mi sono sposata a luglio dello stesso anno che hanno chiuso perché non c'erano alternative in zona al lavoro nella Maffei: avevo già il moroso e mi sono detta “o vado a servire a Milano o mi sposo”. Prima che venisse la Maffei tante ragazze sono dovute andare in Svizzera. A me è dispiaciuto non lavorare più fuori casa perché mi faceva sentire indipendente: se fosse stato per me sarei ancora lì a cernire la barite.
Ci si voleva bene tra noi ragazze; lavoravano con me la Liliana Omicini, la Marta Beltrami e la Olimpia Beltrami che erano un po' più vecchie e insegnavano a noi giovani. Anche il capo Bepi (Giuseppe) Armani era buono con noi: ogni tanto fermavamo il nastro per riposarci un attimo e lui di nascosto veniva lì e ci diceva “stiamo ferme?”. Altre volte veniva a controllare l'Antonio Masiero che però era più rigido.
Mio papà si chiamava Camillo Sella era del 1907 faceva il minatore ed è deceduto a 72 anni a causa della silicosi; infatti aveva l'80% di invalidità riconosciuta. Non mi ricordo in che anno ha cominciato a lavorare, ma so che si è sposato nel 1941 e che già lavorava. Ha conosciuto mia mamma tramite il capo miniera Innocente Zanardi che era di Anfo. Mio papà era il “cuoco” in Val Cornèra: alle 11,30 ogni giorno usciva dalla galleria e faceva la pasta per tutti. Il grana per condirla lo comperavano tutti in società e poi le mogli di quelli che abitavano vicino allo stabilimento, cioè in paese a Darzo, facevano arrivare tramite la teleferica la cena. Non mi ricordo se mio papà facesse anche la minestra la sera. Spesso mio papà faceva i turni di guardia la domenica alla polveriera. Mi ricordo con piacere quando d'estate mi portava su a stare con lui in Val Cornèra, avrò avuto dieci anni, ci mettevamo due ore a salire a piedi e quando arrivavamo alla pianta di castagno detta “la Vècia” ci fermavamo a riposare sapendo che ormai non mancava molto. Una volta su, qualche volta giocavo con i figli del dottor Italo che aveva fatto costruire una casa in Val Cornèra e ci venivano i figli a passare l'estate. Mi ricordo che avevano la governante che si chiamava Zanetti ed era di Darzo. Non mi ricordo di preciso quando mio papà ha smesso di lavorare, ma so che nel 1964 quando hanno chiuso era già in pensione. Mio papà ha ricevuto dalle mani del "Barba" Carlo Maffei, a una Festa di Santa Barbara, il premio "Fedele alla miniera", il riconoscimento per la fedeltà al lavoro svolto per la ditta.
Intervista raccolta a Lodrone il 6 marzo 2013.
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